E’ stato finalmente “bollinato” il Disegno di Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, approvato formalmente il 4 novembre scorso dal Consiglio dei Ministri.

Il DdL si compone di 32 articoli che intervengono in materia di regimi concessori (artt. 2-5), servizi pubblici locali e trasporti (artt. 6-10), energia e sostenibilità ambientale (artt. 11-12), tutela della salute (artt. 13-18), infrastrutture digitali e servizi di comunicazione elettronica (artt. 19-22), rimozione degli oneri per le imprese e parità di trattamento per gli operatori (artt. 23-27), rafforzamento dei poteri di antitrust enforcement (sic!) (artt. 28-31), selezione dei componenti e dei presidenti delle Autorità indipendenti (art. 32).

La relazione al disegno di legge si apre con un richiamo al dogma della concorrenza che oltre a “favorire l’efficienza e la crescita economica” sarebbe anche idonea “ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi” nonché a “a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”.

In realtà in settori quali quelli dei servizi pubblici locali (dove le misure del DdL si propongono di “garantire valori di giustizia sociale”), il ricorso al mercato e quindi l’introduzione di una logica di profitto, secondo molti osservatori, è incompatibile con l’esigenza di garantire un servizio universale ed a costi contenuti. Non può infatti negarsi la propensione dei gestori  privati dei servizi pubblici a godere di un regime tariffario “controllato” (sbandierato come necessario a garantire una “equa remunerazione del capitale investito” – contraddicendo in nuce la logica del mercato che come tale non dovrebbe “garantire” nulla ma solo consentire il libero manifestarsi  delle pratiche  concorrenziali), e a massimizzare i profitti mediante una gestione “oculata” degli interventi di manutenzione e di investimento nonché di erogazione del servizio  (la gestione della rete autostradale da parte degli operatori privati nel nostro Paese ne è stato un ultimo fulgido esempio). Il testo del provvedimento incarna invece il pregiudizio che vede la gestione pubblica dei servizi locali come inefficiente ed antieconomica. Sono quindi le amministrazioni locali a dover giustificare “il mancato ricorso al mercato” per la loro gestione e l’utilizzo del “modello dell’autoproduzione” (si veda articolo 6 del DdL). Un’inversione dell’onere della prova che la dice lunga sulla matrice ideologica del provvedimento.

Il DdL Concorrenza 2021 attua inoltre i suoi interventi pro-concorrenziali attraverso un massiccio utilizzo dello strumento della delega, che rischia di limitare la capacità del Parlamento e delle forze politiche di intervenire e dibattere sui contenuti di dettaglio di ogni misura proposta. Il DdL Concorrenza contiene infatti 6 previsioni di delega al Governo ad adottare discipline finalizzate:

  • alla “costituzione e coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici (art.2);

  • al “riordino della materia dei servizi pubblici locali” (art. 6);

  • alla “revisione della disciplina in materia di trasporto pubblico non in linea” (art. 8);

  • alla “ricognizione, la semplificazione e l’individuazione delle attività oggetto di procedimento di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso o è sufficiente una comunicazione preventiva” (art. 23);

  •  a “semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche” (art. 24);

  • all’adeguamento “della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020 sulla vigilanza del mercato e sulla conformità dei prodotti”.

Ad eccezione della delega per la costituzione di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici (che prevede un finanziamento di 3 milioni di euro la realizzazione del sistema informativo e di 2 milioni annui per la sua gestione), tutte le altre deleghe previste dal DdL Concorrenza 2021 devono attuarsi senza “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.  Come si possa liberalizzare i servizi pubblici locali nonché semplificare le attività di autorizzazione e controllo a carico delle imprese private senza rafforzare,  attraverso investimenti in dotazioni tecnologiche  e di personale,  la capacità dell’amministrazione pubblica - notoriamente priva delle idonee professionalità al suo interno - a svolgere le necessarie  attività di controllo – rese più complesse dal fatto di doversi attuare ex-post l’avvio delle iniziative - è un mistero che solo la cieca fede nel dogma del mercato e della concorrenza può fare accettare.

Il Disegno ddi Legge per la concorrenza 2021 contiene anche una significativa novità. A differenza della precedente Legge del 2017, questa volta il mondo delle professioni ordinistiche è escluso dagli interventi pro-concorrenziali posti in essere. Anche i più sfegatati fan del liberalismo economico hanno evidentemente compreso che quello italiano è uno dei mercati di servizi professionali più aperti alla concorrenza In Europa, non fosse altro per il numero di professionisti in esso operanti (il più alto in rapporto alla popolazione residente di tutti i paesi membri dell’Unione Europea).  

Se il DdL Concorrenza 2021 non ha tra i suoi bersagli i professionisti nemmeno però li coinvolge quando il loro contributo potrebbe essere invece non solo opportuno ma decisivo per delineare le misure di intervento più efficaci.

Sia l’articolo 23 comma 3 del DdL che l’articolo 24, comma 2 non contemplano, infatti, gli Ordini professionali tra i soggetti da “sentire” prima dell’adozione da parte del Governo dei decreti legislativi finalizzati, rispettivamente, alla “ricognizione, la semplificazione e l’individuazione delle attività oggetto di procedimento di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso (…)” e alla semplificazione dei “controlli sulle attività economiche”.  Eppure sono proprio i professionisti ordinistici ad essere chiamati in molti ambiti di attività economica ad “asseverare” le iniziative dei privati a garanzia del rispetto delle disposizioni di legge. E sono proprio Ordini, con il Consiglio nazionale degli Ingegneri e la Rete delle Professioni Tecniche in prima linea, ad aver elaborato negli ultimi 10 anni una serie di proposte di semplificazione, sulla base del principio di sussidiarietà, che hanno trovato una grande attenzione da parte del legislatore (sia consentito fare riferimento al primo documento organico sull’argomento realizzato nel 2013 dal Centro studi CNI https://www.fondazionecni.it/quaderni/493-per-il-rilancio-del-paese-sussidiarieta-e-semplificazione-n-139 ).

Si tratta quindi di un’assenza ingiustificata che deve e può essere agevolmente sanata in sede di discussione del Disegno di legge.