Avrebbero dovuto essere uno strumento straordinario per l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare con effetti positivi su un ambiente considerato ormai in condizioni critiche. I Superbonus si sono rivelati, invece, terreno di confronto in cui tutti sono contro tutti. In un anno e mezzo le norme che regolano questi incentivi sono cambiate più volte, con l’aggiunta progressiva di divieti, controlli, asseverazioni, norme tecniche molto articolate ed ora, attraverso il dl 25/02/2022 n. 13, l’inasprimento di sanzioni pecuniarie e penali a carico di professionisti tecnici che dovessero rilasciare asseverazioni infedeli o false.

 Il Governo Draghi, che pure attraverso la legge di Bilancio 2022 ha il merito di avere definito dei termini temporali chiari e importanti per i Superbonus 110%, sembra non avere mai creduto nella effettiva portata strategica di questi strumenti, preoccupato più dell’impatto che gli incentivi possono avere a medio termine sul disavanzo dello Stato. La preoccupazione è legittima e, rispetto ai molti dati, a volte parziali, che sono stati prodotti al contorno di questa materia nelle ultime settimane, sembra l’unico vero argomento su cui sarebbe opportuno articolare un ragionamento che tenga conto dei diversi interessi in campo.

 Dall’entrata in vigore delle norme sui Superbonus 110% (estate 2020) a febbraio 2022 gli investimenti realizzati tramite questi incentivi sono stati pari a 24,1 miliardi di euro, dei quali 21,1 miliardi di euro per il Superecobonus e almeno 3 miliardi di euro stimati per il Supersismabonus. Al netto delle frodi segnalate fino ad oggi dall’Agenzia dell’Entrate, gli impegni di spesa si riducono a 23,9 miliardi di euro.

 Il Centro Studi CNI, utilizzando dati ufficiali e metodologie di calcolo e analisi proposte dall’Istat ha stimato (attraverso lo studio “ L’impatto sociale ed economico dei Superbonus 110%” elaborato ad ottobre 2021 e più volte aggiornato) il possibile impatto sul sistema economico della spesa sopra indicata, applicando peraltro parametri di valutazione ancora più prudenti rispetto a quelli che si sarebbero ottenuti utilizzando sic et simpliciter la matrice delle interdipendenze settoriali Istat.

 A fronte di un investimento pari a 23,9 miliardi per Superbonus 110%, si stima che la produzione complessiva attivata sia nel comparto delle costruzioni ed in quello dei Servizi di Ingegneri e Architettura che nell’indotto e nei comparti collegati all’indotto possa ammontare a 50,3 miliardi euro. Il disavanzo per lo Stato è stimato in circa 16 miliardi di euro, da ripartire in 5 anni (circa 3,3 miliardi l’anno), meno di quanto attivato verosimilmente in termini di produzione complessiva ed in termini di contributo alla formazione di Pil. Ciò che lo Stato spende, in sostanza, verrebbe più che compensato in termini di produzione, consumi e occupazione.

 E’ importante sottolineare che queste stime hanno solo l’obiettivo di fornire l’ordine di grandezza dei costi e dei benefici conseguibili attraverso la spesa in Superbonus 110% e di simulare un impatto verosimile sui conti pubblici (pur per grandi linee).

 Questi dati coincidono con le analisi condotte, su un più lungo periodo di vigenza dei bonus per l’edilizia, dalla Camera dei Deputati con il supporto del Cresme dal titolo “ Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione” pubblicato il 9 dicembre 2021.

 Se proprio non ci si volesse fidare di queste stime, si potrebbe fare ricorso agli effetti di disavanzo da Superbonus calcolati direttamente dal MEF e presentati dal Ministro Franco nella relazione illustrativa della Legge di Bilancio 2022 consegnata alla Presidenza del Senato della Repubblica a novembre 2021. Secondo il MEF, dal 2022 al 2037 gli investimenti in Superbonus (vigenti fino al 2025) generebbero un disavanzo fino al 2029, raggiungendo un picco massimo di -4,1 miliardi nel 2026. E’ verosimile pensare che disavanzi di questo ordine di grandezza siano in larga misura, se non totalmente, coperti da maggiori livelli di produzione complessiva innescata dagli incentivi per la riqualificazione degli edifici (tralasciando ulteriori benefici come il risparmio energetico conseguibile, la maggiore salubrità degli edifici residenziali, la maggiore sicurezza degli edifici ed il risparmio di vite umane nel caso di eventi sismici).

 

Visti in questa prospettiva e considerato che dopo il 2023 si procederà anche alla riduzione del livello delle detrazioni e quindi ad un minore impegno finanziario dello Stato, il disavanzo appare sostenibile, laddove per sostenibile si intende che, limitati al medio periodo, questi incentivi di elevata intensità non sembra, anche sulla base dei calcoli dello stesso MEF, siano in grado di generare scompensi nei conti dello Stato.

 Non solo, tale sforzo dovrebbe essere visto come l’inevitabile costo che la collettività deve affrontare per rendere più efficienti gli edifici e conseguire maggiori risparmi in termini di consumo; a meno che non si pensi che il programma di transizione energetica ed ecologica varato dal Governo possa rimanere allo stadio di un interessante dichiarazione di principi o che possa essere realizzato in quattro o cinque anni.

 Solo il 32% degli edifici per scopi residenziali nel nostro Paese viene valutato in condizioni ottime, mentre la parte restante necessita di interventi di risanamento. Il Ministero per la Transizione ecologica, in uno studio su la “ Strategia per la riqualificazione energetica del Parco immobiliare” ha fatto ampiamente riferimento alle stime elaborate da ENEA sulla superficie da riqualificare e sui costi da sostenere per raggiungere nel 2030 gli obiettivi di risparmio energetico indicati nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Si stima dunque che da qui al 2030 si debbano riqualificare almeno 24,6 milioni di metri quadri ogni anno per una spesa annua di circa 9 miliardi di euro. Non è una associazione di costruttori a dirlo, ma il Ministero per la Transizione Ecologica attraverso la competenza di ENEA.

 

Cosa significa tutto ciò?

 Raggiungere obiettivi così ambiziosi ha indubbiamente un costo elevato, anzi estremamente elevato; bene farebbero sia il Governo che l’opinione pubblica a decidere se questi obiettivi vadano realmente perseguiti senza più ambiguità, se non altro per evitare quanto accaduto negli ultimi mesi, con i Superbonus 110% sottoposti a fasi continue di stop and go e ad un cambio di regole che a breve potrebbero renderli impraticabili. Forte è, infatti, l’impressione che si enuncino obiettivi di risparmio energetico ambiziosi, ma che nei fatti non se ne accetti il costo.

 In questo scenario piuttosto confuso molte informazioni sembrano avere delineato solo mezze verità.

 L’Agenzia delle Entrate ha comunicato di avere rilevato operazioni sospette, a dicembre 2021, per ben 4,4 miliardi di euro legati alla cessione del credito per bonus edilizi di differente natura. L’attenzione è immediatamente ricaduta soprattutto sui Superbonus; a nostro avviso non si è però sufficientemente sottolineato che dei 4,4 miliardi, le frodi riconducibili ai Superbonus sono pari a 130 milioni di euro, il 3% del totale. Nessuno nega che si tratti di una cifra ragguardevole ma è evidente che proprio sui Superbonus è stata attivata la quota minore di frodi e di sospette frodi. L’intensità delle frodi va rapportata, inoltre, all’ammontare dell’investimento movimentato. Pertanto, a fine 2021 per ogni 10.000 euro di credito ceduto per Superbonus sono stati sottoposti a frode 99 euro a fronte di 1.496 euro ogni 10.000 euro spesi per il bonus facciate e ben 2.740 euro frodati ogni 10.000 euro spesi per ecobonus ordinario.

 Parametrare i dati e definire correttamente le vere dimensioni dei fenomeni conta perché, alla luce di quanto detto, il recente inasprimento delle misure penali in capo ai professionisti tecnici per attività di asseverazione sembra spropositato.

 Nel momento in cui è stata divulgata la notizia delle frodi legate alla cessione del credito per i bonus per l’edilizia molti, a partire da esponenti del Governo, hanno sottolineato che i Superbonus 110% in particolare generano gravi distorsioni. Varrebbe la pena di sottolineare che non è lo strumento tecnico dei Superbonus 110% a non funzionare, ma il meccanismo della cessione del credito e che proprio i Superbonus, peraltro, sono stati gli strumenti che hanno meglio funzionato e per il quale il fenomeno delle frodi ha inciso in maniera estremamente ridotta.

 Infine, di recente l’Ufficio Studi della CGA di Mestre ha osservato come a fronte di una spesa di oltre 20 miliardi di euro in Superecobonus il numero di immobili su cui si è intervenuti sia appena l’1% degli immobili residenziali censiti in Italia.

 Se la preoccupazione è legittima e va certamente presa in considerazione, l’analisi dovrebbe, a nostro avviso, essere maggiormente circostanziata almeno per due motivi. Da un lato non è l’intero stock del patrimonio edilizio esistente a dover essere sottoposto ad interventi di risanamento energetico. Le strutture di più recente costruzione dovrebbero pertanto essere escluse dal calcolo. Inoltre, affermare che finora si è intervenuto con una spesa ingente solo sull’1% degli edifici significa poco, in quanto la spesa andrebbe parametrata, più che agli edifici, ai metri quadrati risanati e resi più efficienti dal punto di vista energetico. Va da sé che un condominio sviluppa una superficie tecnica su cui si interviene con un risanamento profondo sistematicamente più elevata rispetto a ciò che accade per un edificio unifamiliare o per una unità immobiliare indipendente. Trarre rapide conclusioni in merito all’efficacia dei Superbonus basandosi esclusivamente sul numero degli edifici su cui si è intervenuti (sul numero delle asseverazioni depositate a fine lavori) appare affrettato, vista la portata delle politiche attivate. Al momento non sappiamo quanti metri quadri siano stati sottoposti a risanamento con Superecobonus degli oltre 3 miliardi di metri quadri di edifici residenziali presenti in Italia ed appare quindi difficile dire se questo tipo di interventi stiano funzionando o meno e soprattutto se sia troppo costoso rispetto al perimetro di intervento.

 Basarsi dunque su tali dati così parziali per chiedere che i Superbonus 110% vengano soppressi fin d’ora, in quanto gli interventi hanno riguardato solo una minima parte del costruito e solo in maggioranza persone facoltose non aiuta ad affrontare in modo appropriato il dibattito sui Superbonus, perché non sappiamo se ciò sia vero.

 Nelle ultime settimane si ha piuttosto l’impressione che si sia detto sui Superbonus 110% tutto ed il contrario di tutto, spesso con una visione molto parziale della realtà. Forte è l’impressione che sull’impronta di dati aggregati e sui quali vi è stato uno scarso livello di approfondimento siano state assunte decisioni importanti tradotte di recente in norme, come quelle contenute nel dl 25/02/2022 n.13 che pongono ulteriori vicoli all’operato dei Superbonus 110%, questa volta minandone profondamente l’efficacia.

 Giusto sarebbe che il Governo chiarisse, a se stesso in primis, se i Superbonus 110% possano essere uno degli strumenti per raggiungere gli obiettivi di transizione energetica più volte enunciati o se la strada intrapresa finora vada ridefinita, anche in modo radicale. Meglio essere chiari ed eliminare ogni atteggiamento ambiguo verso i Superbonus. Ciò deve avvenire però con vera cognizione di causa. L’incertezza, ma soprattutto il cambio continuo di norme che regolano un processo molto complesso come quello presidiato dai Superbonus 110%, non fa bene a nessuno, né servono analisi e informazioni parziali utilizzate per innescare un effetto annuncio su tesi tutte da provare.

 Giunti a questo punto e considerando anche i notevoli sforzi che lo Stato ha messo in campo dal 2020, i tempi sembrano maturi per definire una strategia per il risanamento, per il risparmio energetico e per la messa in sicurezza degli edifici oltre il 2025, trovando un punto di equilibrio tra l’impegno dello Stato e l’impegno dei singoli cittadini per raggiungere obiettivi certamente ambiziosi ma non procrastinabili. Nella definizione di questo percorso, siamo certi che le Istituzioni pubbliche troveranno negli organismi di rappresentanza e nelle associazioni di categorie che sono direttamente interessate a questo processo, degli interlocutori propositivi e competenti pronti a trovare una soluzione nell’interesse del Paese.