Quasi un mese e mezzo prima dell’inizio della guerra in Ucraina, ovvero a gennaio 2022, i prezzi della produzione industriale hanno fatto registrare un aumento del 9,7% su base mensile e una crescita impressionante, quantificata dall’ISTAT intorno al 32,9%, su base annua. Questi aumenti congiunturali, anche se erano stati in parte previsti, hanno avuto una parabola ascendente inaspettata che potrebbe mettere a rischio molte imprese e portare il paese in recessione.

 Considerando che gli effetti della guerra in corso devono ancora farsi sentire, gli scenari sono tutt’altro che rassicuranti: solo sul mercato interno i prezzi sono aumentati del 12,4% rispetto a dicembre 2021 e del 41,8% su base annua. Anche se si considerano questi numeri al netto del settore energetico si registra una crescita dei prezzi dell’1,8% in termini congiunturali e all’11,0% in termini tendenziali.

 Spinti dagli effetti del cosiddetto “great lockdown” mondiale, a gennaio 2022 si sono rilevati ampi aumenti dei prezzi tendenziali diffusi a quasi tutti i settori manifatturieri; i più marcati hanno riguardato coke e prodotti petroliferi raffinati (+35,7% mercato interno, +15,2% area euro, +48,6% area non euro), metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (+23,3% mercato interno, +33,8% area euro, +25,4% area non euro), prodotti chimici (+19,7% mercato interno, +20,5% area euro, +18,3% area non euro) e industria del legno, della carta e stampa (+14,9% mercato interno, +16,1% area euro, +12,5% area non euro). Inoltre il lockdown “de facto” in vigore oramai in Italia, unito alla paura che lo stato emergenziale possa potrarsi all’infinito con misure continue di chiusure e di depressione per i settori produttivi, mette gli investitori nella condizione di non investire nel nostro paese per via del continuo richiamo a provvedimenti non pienamente democratici che non assicurano sicurezza e stabilità.

 Gli aumenti sono oramai generalizzati e il governo non riesce in alcun modo a produrre politiche compensative: se il settore industriale piange, il settore edile non ride: a gennaio 2022 i prezzi alla produzione delle costruzioni per “Edifici residenziali e non residenziali” sono cresciuti del 2,5% su base mensile e del 6,4% su base annua. I prezzi di “Strade e Ferrovie” sono aumentati del 2,1% in termini congiunturali e del 5,4% in termini tendenziali.

 In questo clima che rimanda quasi a livelli di inflazione degli anni 70, essendo adesso le economie interconnesse e mancando la possibilità di attuare misure di svalutazione competitiva della moneta, il rischio per l’Italia è chiamato Stagflazione ovvero il verificarsi di aumenti incontrollabili dei prezzi uniti a una recessione economica. Proprio qualche giorno fa, infatti, il presidente della BCE ha affermato che il protrarsi delle cieche misure emergenziali anche a pandemia praticamente finita e gli scenari imprevedibili in Ucraina “inducono un rischio concreto di stagflazione per tutta la zona Euro, ossia di inflazione elevata associata a un rallentamento dell’economia”. L’Italia, che manca di una politica industriale ed energetica, è tra i paesi che rischiano la recessione più pesante: infatti tra materie prime, petrolio, componenti agricole, fertilizzanti, è il paese per cui più di tutti la Russia è importante per tutti settori produttivi.