intervista zambrano

Superbonus 110%, equo compenso, Pnrr, riforma della Pubblica Amministrazione. Sono tanti i temi che vedono in prima linea gli ingegneri e, più in generale, i professionisti tecnici. Ne parliamo con Armando Zambrano che ha risposto alle nostre domande nella doppia veste di Presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri e di Coordinatore della Rete Professioni Tecniche.

Partiamo da un tema di strettissima attualità. Il Superbonus 110% è oggetto di grande attenzione da parte degli ingegneri e dei professionisti tecnici in generale. Lo stesso si può dire per gran parte delle forze politiche. Lei come valuta questo provvedimento in termini generali?

“Devo riconoscere che col Superbonus 110% la politica è riuscita finalmente a realizzare un provvedimento di alto profilo, coraggioso, in grado di rispondere adeguatamente all’interesse generale del Paese. La determinazione con la quale stavolta si è preceduto merita un plauso perché si trattava di superare molte difficoltà tecniche e di mettere sul piatto una notevole quantità di risorse. D’altra parte i fatti stanno dimostrando che il Superbonus 110% è uno strumento molto efficace per superare la fase di difficoltà che viveva ormai da tempo tutta la filiera dell’edilizia, aggravata poi dalle conseguenze della pandemia. Non solo. Questi incentivi si stanno configurando come l’elemento di punta delle iniziative intraprese per il rilancio economico del Paese. Tuttavia, non si tratta soltanto di mere questioni economiche. Quando i bonus avranno manifestato tutti i loro effetti, ci ritroveremo con buona parte del patrimonio edilizio riqualificato in termini di efficientamento energetico e di sicurezza”.

I professionisti tecnici sono sempre stati molto attivi su questi dossier, in particolar modo attraverso numerose interlocuzioni istituzionali. Qual è stato in concreto il vostro contributo affinché il provvedimento vedesse la luce?

“Occorre ricordare che il Superbonus 110% non nasce dal nulla, ma è figlio dei provvedimenti che l’hanno preceduto, ossia Eco Bonus e Sisma Bonus. Su entrambi gli strumenti la nostra interlocuzione politica, sia come CNI che come RPT, è stata costante e numerose sono state le nostre proposte, avanzate nel corso del tempo, finalizzate al loro miglioramento. Ad un certo punto, partendo dai dati elaborati dal nostro Centro Studi, abbiamo anche segnalato il fatto che se la riqualificazione energetica degli edifici procedeva a buon ritmo attraverso l’Eco Bonus, il Sisma Bonus faticava a mostrare la propria efficacia. Dunque, abbiamo segnalato la necessità di collegare in qualche modo i due provvedimenti, in modo che anche la sicurezza degli edifici rispetto al rischio sismico procedesse di pari passo. Altri nostri interventi sono stati determinanti affinché il Superbonus 110% vedesse la luce per come lo conosciamo ora. Cito, a titolo di esempio, le critiche da noi avanzate in sede di approvazione della legge finanziaria del 2019, a partire dall’eliminazione della cessione del credito e dello sconto in fattura. Dobbiamo anche ammettere che la pandemia ha accelerato in maniera sensibile il processo che ha portato dai bonus classici al Superbonus 110%. Alcuni esponenti politici, con una certa lungimiranza, hanno intravisto in quest’ultimo la possibilità di favorire la ripresa economica e le relative proposte hanno trovato spazio del Decreto Rilancio del luglio 2020”.

Il percorso, però, ha avuto degli ostacoli. Ricordo che il Centro Studi CNI, ad un certo punto, pubblicò un rapporto che denunciava il fatto che un volano da miliardi di euro di Pil come il Superbonus 110% rischiava di incepparsi.

“Certamente. Nella prima fase l’applicazione degli incentivi è risultata difficile, macchinosa. Noi stessi abbiamo segnalato tempestivamente e ripetutamente i maggiori punti critici. L’abbiamo fatto nel corso di una serie di audizioni dedicate al tema. Abbiamo criticato l’eccessivo peso burocratico a carico dell’utente finale e dei professionisti coinvolti: troppi documenti da produrre, sovente di difficile reperibilità. A nostro avviso, poi, uno dei grandi limiti era rappresentato degli innumerevoli piccoli abusi e dagli antichi interventi effettuati sugli edifici, effettuati quando non era richiesta la relativa documentazione. Per queste situazioni noi avevamo suggerito una qualche forma di sanatoria, in assenza della quale il campo di applicazione del Superbonus 110% rischiava di ridursi drasticamente. Su questi aspetti tra le forze politiche non c’è stata unanimità, si è dibattuto ed è anche emersa da parte di alcuni una certa ostilità nei confronti del provvedimento. Alla fine, per fortuna, l’orientamento favorevole ha prevalso e, contestualmente, anche la presa di coscienza della necessità di renderlo più agevole. Così, nel luglio scorso, si è arrivati al Decreto Semplificazioni bis che rappresenta un concreto passo in avanti, soprattutto grazie all’introduzione della CILA-S che rende possibile l’applicazione del Superbonus 110% evitando di entrare nel merito della conformità urbanistica. Certo, ulteriori miglioramenti sarebbero auspicabili. Ad esempio, introducendo la formula del ravvedimento rispetto a piccoli errori formali che, oltre a generare provvedimenti sanzionatori, rischiano di vanificare l’applicazione dell’incentivo. Ma comunque il miglioramento c’è stato”.

Da parte vostra è emersa a più riprese la preoccupazione per il ruolo delle grandi società di ingegneria e, più in generale, dei general contractor.

“Il problema è abbastanza evidente. I general contractor sono soggetti con alti fatturati che, versando all’erario somme ingenti, hanno una maggiore possibilità di acquistare il credito fiscale maturato dall’utente finale che si avvale del Superbonus 110%. Non sempre il professionista o l’impresa che deve eseguire i lavori si trovano nelle stesse condizioni, partono quindi svantaggiati. C’è poi la questione di quei general contractor che, qualificandosi come società di ingegneria o di progettazione, acquisiscono le commesse, delegando poi l’attività di progettazione a un professionista e l’esecuzione dei lavori ad una ditta, realizzando margini di guadagno che possono arrivare anche al 50%. Queste sono distorsioni che riteniamo inaccettabili”.

Al di là del contenuto, ora la vostra attenzione sembra concentrata sul tema della proroga del provvedimento così com’è. Su questo terreno, però, sembrano esserci delle resistenze da parte del Governo.

“Le rispondo partendo dai numeri. Secondo le stime del nostro Centro Studi, il 2021 dovrebbe chiudersi con impegni di spesa per interventi con Superbonus 110% per 9,3 miliardi di euro. Tali risorse potrebbero generare un livello di produzione aggiuntiva totale pari a 19,6 miliardi di euro, con la creazione di oltre 153.000 posti di lavoro. Questo significa una cosa precisa. Il Superbonus 110% costa molto allo Stato, ma genera un ritorno economico superiore al doppio dell’investimento. Il ritorno economico per la collettività è così alto da trasformare, non a parole ma nei fatti, questo strumento nel massimo volano di crescita economica. Molti sostengono che le iniziative che ha intrapreso il Governo in questi mesi dovranno servire non solo a recuperare i punti di Pil persi durante la pandemia, ma a mettere il Paese nelle condizioni di continuare a crescere nel prossimo futuro con tassi paragonabili alla media europea. Se si vuole perseguire questo obiettivo non si può prescindere dal Superbonus 110%. Per questo noi abbiamo chiesto di rendere praticamente strutturale il provvedimento, prorogandolo comunque almeno fino al 2026. In questo senso, l’ipotesi delle proroga al 2023, già a suo tempo garantita dal Presidente Draghi, che possa essere limitata solo ai condomini, chiaramente non può trovarci d’accordo”.

Comunque sia, nonostante alcune questioni restino aperte, CNI e RPT si sono spesi molto per il Superbonus 110%.

“Certamente. Si tratta pur sempre di una grande opportunità professionale per gli ingegneri e i progettisti e, più in generale, per tutta la filiera delle costruzioni. Per questo motivo come CNI abbiamo realizzato pubblicazioni e webinar destinati ai nostri iscritti finalizzati ad una maggiore comprensione del provvedimento. Ma abbiamo fatto di più. Ci siamo sforzati di fare un’operazione divulgativa rispetto ai vantaggi del Superbonus 110% destinata al grande pubblico, per far comprendere ai cittadini comuni i vantaggi di questa opportunità. Mi riferisco al programma televisivo “Andiamo a 110”, andato in onda su Rai2 nel giugno e nel luglio scorsi, realizzato dalla nostra Fondazione con Raicom. Sei puntate, realizzate in giro per l’Italia, dove i nostri ingegneri illustrano a comuni cittadini che hanno la necessità di intervenire sui propri immobili il funzionamento e le opportunità offerte dal Superbonus 110%”.

A proposito di rilancio del Paese, qual è la sua posizione in merito al Pnrr? Ritiene che alla fine la missione possa essere compiuta?

 “Il Pnrr, oltre a rappresentare per l’Italia un’occasione unica per indirizzare la spesa verso una crescita intelligente, sostenibile ed innovativa, è una grande opportunità anche per i professionisti dell’area tecnica che possono diventare gli interpreti della transizione verde e digitale del Paese. Ne siamo perfettamente consapevoli, tanto è vero che all’interno della RPT abbiamo creato uno specifico Gruppo di Lavoro dedicato al Recovery Plan che ha prodotto una serie di proposte, sia in termini di progetti che di riforme necessarie per una loro efficace realizzazione. Detto questo, ritengo che il Pnrr possa diventare una reale opportunità soltanto se si verificheranno determinate condizioni, la più importante delle quali è una riforma profondissima della Pubblica Amministrazione. Semplificazione normativa, sburocratizzazione, accelerazione delle procedure sono i temi più importanti, il presupposto del successo di ogni iniziativa. E’ un tema quanto mai complesso che da tempo richiede una soluzione, poiché ormai è noto che la complessità e la ridondanza di molte procedure di stretta competenza della Pubblica Amministrazione rappresentano un freno alla crescita. In questo senso, non so dire se riusciremo davvero a vincere questa partita. Certamente però siamo in una situazione da ora o mai più”.

A proposito di P.A., uno dei temi più caldi resta quello di rimpolpare gli organici, gravemente deficitari in termini di competenze tecniche. Mi pare che l’accordo che avete siglato col Ministro Brunetta vada proprio in questa direzione.

“Nel corso di questa sua seconda esperienza alla guida del Ministero della P.A., il Ministro Brunetta ha mostrato grande attenzione per il nostro mondo. Ormai celebre la sua battuta nel corso del suo intervento al nostro 65° Congresso in cui disse che se avesse potuto avrebbe portato tutti gli iscritti all’Albo degli ingegneri all’interno della Pubblica Amministrazione. Al di là di questo, abbiamo avuto con lui una intensa interlocuzione, in occasione della quale abbiamo messo a disposizione la nostra piattaforma WorkIng per il reclutamento di profili tecnici. Ne è scaturito in seguito un Protocollo d’intesa che abbiamo firmato come RPT e ProfessionItaliane (l’associazione che unisce gli organismi professionali che aderiscono a CUP e RPT, ndr) che ha definito le modalità della collaborazione atta a rendere disponibili i profili tecnici ricercati all’interno del Portale di reclutamento della P.A.. Questa esperienza dimostra che, quando ci viene offerta la possibilità, gli ingegneri e i professionisti tecnici in generale sanno dare un contributo reale, concreto, alla politica e a chi governa il Paese”.

WorkIng è uno dei tanti progetti lanciati negli ultimi anni dal CNI.

“Già all’inizio del nuovo millennio nel nostro mondo ha cominciato ad emergere la necessità di costruire un Ordine più vicino alle esigenze concrete degli iscritti, una organizzazione che diventasse anche erogatrice di servizi per gli iscritti. A partire dal 2013 il Consiglio Nazionale ha cominciato a lavorare intensamente alla concezione e alla realizzazione di questi servizi. WorkIng è stata la nostra risposta all’esigenza di far incontrare la domanda e l’offerta di ingegneri. Ma non ci siamo fermati qua. Abbiamo creato la nostra agenzia di certificazione delle competenze, CertIng, che è partita certificando le varie specializzazioni degli ingegneri ma che sta ampliando il proprio campo di azione, aprendo all’attività di certificazione di altre categorie professionali ordinistiche. Di recente, in questa direzione, è stato firmato un importante accordo con i rappresentanti dei veterinari. Dopo un lungo periodo di studio, abbiamo lanciato Racing, la polizza collettiva di assicurazione professionale che risolve un annoso problema degli ingegneri iscritti all’Albo che faticavano a trovare sul mercato una polizza adatta alle proprie esigenze. Per non parlare della formazione che, soprattutto nel periodo del lockdown, è stata garantita attraverso una vasta offerta di webinar”.

Tutti servizi confluiti nel portale MyIng.

“Si esatto. L’offerta di servizi erogati attraverso la nostra Fondazione è diventata così ampia da farci ravvisare la necessità di mettere il tutto a sistema. Attraverso la navigazione all’interno di MyIng ora i nostri iscritti possono accedere a tutti i servizi ad essi dedicati”.

Tra i vari dossier che caratterizzano la vostra attività politico-istituzionale resta sempre di stretta attualità il tema dell’equo compenso. A che punto siamo?

“La battaglia per l’equo compenso ha assorbito per alcuni anni molte delle nostre energie. Dopo l’abolizione delle tariffe professionali si era posto il problema di dare il giusto riconoscimento all’attività del professionista, soprattutto per garantire la qualità delle prestazioni a tutela dei cittadini. Come professioni tecniche e di concerto col Comitato Unitario delle Professioni (CUP) abbiamo condotto un’intensa attività di interlocuzione istituzionale culminata nella manifestazione del 20 novembre 2017 “Equo compenso: un diritto” che vide radunarsi circa millecinquecento professionisti al teatro Brancaccio. Proprio nel corso di quell’evento, cui tra l’altro parteciparono i rappresentanti di tutti i gruppi politici presenti in Parlamento, unanimemente a sostegno dell’equo compenso, arrivò la notizia dell’approvazione del provvedimento, diventata definitiva con la legge n.172 del 2017. Quello fu un successo indiscutibile del mondo delle professioni italiane, riunito nell’alleanza tra CUP e RPT che avrebbe poi dato vita all’associazione ProfessionItaliane. Tuttavia, stabilito quel principio fondamentale, sarebbe poi stata necessaria una legge organica che fissasse con precisione la sua definizione e gli ambiti di applicazione. In questo senso, i passi in avanti che abbiamo registrato non sono sufficienti, soprattutto alla luce degli avvenimenti accaduti negli ultimi due anni”.

Di preciso cos’è che ancora non va?

“Oltre alla questione della definizione del campo di applicazione del provvedimento, le conseguenze della pandemia fanno sì che, con la ripresa economica in atto, i liberi professionisti siano esposti a distorsioni sui loro compensi. Una ridefinizione della normativa, dunque, è indispensabile. Per questo motivo, già nello scorso giugno come ProfessionItaliane abbiamo sottoposto alla Commissione Giustizia della Camera una serie di proposte in materia, un articolato dove, tra le altre cose, si definisce con precisione l’equo compenso. Per questo si intende, ai sensi dell’art. 9 comma 4 del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, e conforme ai parametri stabiliti con apposito decreto dal Ministro competente. Una delle proposte riguarda le Pubbliche Amministrazioni. Queste, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, devono garantire sempre il rispetto del principio dell'equo compenso, in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in seguito all’adozione ufficiale del provvedimento. Dunque, alle Pubbliche Amministrazioni deve essere  vietato l’affidamento gratuito di prestazioni professionali”.

E qual è stata la risposta della politica?

“Nel corso dell’estate c’è stata un’accelerazione della discussione. Tuttavia l’articolo 2 del disegno di legge in discussione in Commissione Giustizia della Camera prevede l’applicazione dell’equo compenso solo alle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Questo passaggio non ci ha trovati per niente d’accordo perché applicare il provvedimento solo in alcuni casi rischia di creare una distinzione netta fra professionisti tutelati e altri che non lo sono. Questa stortura, a nostro avviso, va assolutamente eliminata. Anche perché, in questo modo, paradossalmente si finisce per penalizzare i committenti più ‘deboli’ e meno informati”.

Di recente, lo scorso 13 ottobre, la Camera ha approvato il provvedimento con un testo che porta come prima firma quello di Giorgia Meloni. Qual è la vostra valutazione?

“E’ un passo in avanti nell’iter di approvazione della nuova legge ma le questioni da noi poste restano in piedi. Pesa tra l’altro il parere della Ragioneria di Stato che ha espresso preoccupazione per l’impatto del provvedimento sulle finanze pubbliche. Riguardo ai rapporti dei professionisti con le Pubbliche Amministrazioni la stessa giurisprudenza si sta orientando verso una visione che prevede l’applicazione dell’equo compenso non sulla base dei citati parametri ma in termini di maggiore flessibilità nell’ottica del contenumento della spesa pubblica. Insomma, continuiamo a ritenere che il testo necessiti di ulteriori sostanziali miglioramenti e ci auguriamo che nell’ambito della discussione al Senato si tenga maggiormente conto delle esigenze dei professionisti”.

Da molti anni il Consiglio Nazionale Ingegneri ha assunto la guida delle professioni tecniche italiane attraverso il suo coordinamento della RPT. In questo lasso di tempo l’organismo è riuscito ad accreditarsi come interlocutore istituzionale unitario presso il mondo della politica. Che bilancio fa di questi anni di attività?

“Quando il 26 giugno 2013 decidemmo, assieme agli altri Presidenti degli organismi di rappresentanza dell’area tecnica, la Rete Professioni Tecniche in sostituzione del vecchio PAT, anni di esperienza ordinistica ci avevano insegnato una cosa fondamentale: non si poteva più continuare a marciare in ordine sparso. Gli interlocutori politici si trovavano di fronte, di volta in volta, questo o quel rappresentante di una professione tecnica, le cui rivendicazioni particolari finivano spesso per disorientarli. Poiché le varie professioni tecniche, nel rispetto delle naturali differenze, hanno esigenze e istanze comuni, abbiamo pensato che potesse essere più produttivo provare a fare una sintesi al nostro interno, per presentarci poi di fronte all’interlocutore istituzionale con una visione comune e con delle proposte unitarie. Senza contare il fatto che parlare a nome di oltre 600mila professionisti consente di avere un peso specifico maggiore, ben altro peso politico. In questi nove anni assieme agli altri colleghi dell’area tecnica abbiamo fatto un grande lavoro, siamo stati presenti su tutti i dossier di nostro interesse, ottenendo importanti risultati. Probabilmente il più importante di questi è proprio il riconoscimento politico che ha ricevuto la nostra organizzazione. Oggi siamo percepiti da tutte le forze politiche come un interlocutore credibile, capace non solo di tutelare le istanze dei propri iscritti ma di avanzare proposte utili al benessere economico e sociale del Paese. Non a caso la RPT è stato l’unico organismo di rappresentanza delle professioni citato nel testo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

Quali sfide vi aspettano per il futuro?

“Oltre a continuare a rappresentare al meglio le istanze delle professioni tecniche, da tempo abbiamo avviato un percorso atto ad estendere questa logica unitaria all’intero mondo delle professioni. Per questo motivo abbiamo realizzato una solida alleanza col CUP, assieme al quale abbiamo realizzato numerose iniziative ed ottenuto importanti successi come quello sull’equo compenso. Ma bisogna fare di più. Per questo abbiamo deciso di dare a questa alleanza una forma più strutturata attraverso la creazione dell’associazione ProfessionItaliane che mira a mettere a sistema tutte le competenze e capacità degli organismi di rappresentanza che la compongono. ProfessionItaliane dovrà diventare per tutte le professioni quello che è stato e che è la RPT per le professioni tecniche”.

Un’ultima domanda. Qualche giorno fa è arrivata la sentenza del TAR che ha accolto il ricorso presentato dall’Ordine degli Ingegneri di Roma a proposito del mancato rispetto della parità di genere del regolamento elettorale. Qual è la posizione del CNI sulla vicenda?

“Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, il CNI da tempo e anche nei mesi scorsi aveva segnalato ripetutamente al Ministero della Giustizia la necessità di rivedere il regolamento elettorale, soprattutto alla luce del ricorso presentato dall’Ordine di Roma. Avevamo segnalato a più riprese i rischi cui si andava incontro in caso di mancato intervento e, per questo, abbiamo presentato gli opportuni emendamenti. Insomma, abbiamo dimostrato di volere le elezioni per i rinnovi degli Ordini  e di volerle nel rispetto di quanto afferma la Costituzione sul tema della parità di genere. Ora questa sentenza del TAR ci affida il compito di riscrivere il regolamento elettorale, adeguandolo al dettato costituzionale. Ci impegnamo a farlo il più rapidamente possibile, in modo che il passaggio elettorale sia completato quanto prima”.