L’anno 2021 può essere di fatto considerato l’anno nero o l’anno zero per il gas e per le materie prime in generale. La redistribuzione dei rapporti economici e sociali messi in atto, sia dalla pandemia che dalle relative politiche di lotta al virus, ha provocato una serie di effetti che non si erano mai verificati in questa portata nel mondo globalizzato post Guerra Fredda.

Il prezzo delle materie prime in continua ascesa è uno degli effetti più tangibili di questo grande reset globale i cui effetti sono a dir poco imprevedibili. Il motivo di tale crescita è soprattutto legato alla scarsità nelle forniture di gas che, in una economia in cui le supply network del pianeta intero sono interconnesse, sta provocando dei brevi shock esogeni a catena che i vari governi non riescono a compensare.

Una delle ragioni per cui i gas scarseggia è che uno dei paradigmi della cosiddetta new normal prevede il disimpegno progressivo verso i combustibili fossili. Molte aziende, infatti, preferiscono investire in pannelli solari in amazzonia oppure in piattaforme eoliche. Come conseguenza di questo cambio di rotta nel 2021 nel mondo si sono letteralmente bloccati gli investimenti per cercare petrolio e metano, o per continuare a far funzionare i giacimenti che ci sono già. Gli analisti di Rystad Energy hanno, in un loro report, evidenziato come nell’anno appena concluso nel mondo fra greggio e gas sono stati scoperti giacimenti per soli 4,7 miliardi di barili. Il numero che sembra elevato non deve però ingannare in quanto esso rappresenta Il livello più basso mai registrato dal 1946 ovvero da quando il mondo emergeva dalle fosche nubi di un conflitto mondiale infinito.

Adesso come allora, non solo la ricerca di nuove risorse, ma anche gli investimenti nella manutenzione dei giacimenti già attivi sembrano in fase di stallo. Nel 2020 e nel 2021 sono state investite circa la metà delle risorse rispetto al 2014, infatti la produzione di combustibili e di gas rallenta gradualmente per un calo nelle estrazioni che ogni giorno decresce di circa il 7%.

In Italia la situazione dei giacimenti è stata, inoltre, penalizzata da determinate scelte politiche che hanno frenato e in alcuni casi del tutto paralizzato l’estrazione che si è attesta su un valore vicino al 19,7% in meno rispetto agli anni precedenti.

Naturalmente questa assenza di investimenti si ripercuote anche negli stoccaggi delle scorte che continuano a decrescere facendo aumentare i prezzi. Nel 2021 le scorte sono decresciute del 10% in tutta Europa passando dal 79% al 60%. Questo contesto di recessione negli investimenti si va, inoltre, ad inserire in uno scenario di tensioni internazionali tra Europa e Russia determinato dalla situazione in Ucraina e dalle sanzioni economiche, scenario che non aiuta una politica distensiva dei prezzi negli approvvigionamenti dei beni primari.