La guerra economica scatenata dagli Stati Uniti contro la Russia attraverso le sanzioni si sta rivelando un boomerang per l’Unione Europea con effetti imprevedibili che stanno mettendo in crisi, non solo la ripresa economica italiana, ma più in generale la crescita della intera eurozona che così rischia di andare di fronte a preoccupanti scenari di recessione.

 Per capire cosa significhino le sanzioni alla Russia per le imprese europee bisogna tenere conto di un dato allarmante: le aziende americane pagano i costi energetici dalle 7 alle 10 volte in meno rispetto alle aziende italiane ed europee operando così di fatto una concorrenza sleale, concorrenza resa ancora più complicata dal fatto che sono stati proprio gli Stati Uniti a imporre ai paesi NATO la linea dura sulla guerra escludendo qualsiasi spiraglio di negoziato.

 Dall’inizio del conflitto sono state numerose le attività economiche che hanno dovuto chiudere i battenti di fronte alla corsa inarrestabile dei prezzi dei beni energetici, soprattutto in due settori, quello siderurgico e quello dei fertilizzanti, dove i costi superano i ricavi. Il colosso norvegese dei fertilizzanti Yara ha comunicato tagli alla produzione e possibili licenziamenti, scelta seguita anche dalla lituana Achema che interromperà del tutto le attività, mentre il produttore di prodotti chimici ungherese Nitrogenmuvek aveva già chiuso ad agosto perché la produzione non era più economicamente sostenibile. Secondo una ricerca citata da Bloomberg che si basa su dati Eurostat la capacità produttiva europea di prodotti chimici e industriali si riduce di settimana in settimana ed è oramai crollata del 50%.

 Il quadro inflattivo, nonostante gli interventi della BCE, potrebbe perdurare anche per tutto il 2023, motivo per cui anche nei Paesi Bassi gli stop si stanno susseguendo: dopo il fermo della fonderia di zinco del gruppo Nyrstar, anche il produttore di allumino Aldel ha gettato la spugna. La Germania ha annunciato il rischio di deindustrializzazione e in Italia la situazione non è meno grave, con rincari che si producono su tutta la catena di valore andando a colpire, oltre che le aziende, anche le famiglie con un previsto crollo della domanda.

 Proprio in queste ore il colosso siderurgico siciliano Acciaierie di Sicilia ha infatti annunciato un nuovo stop alla produzione di due settimane lasciando intravedere che il rischio, non è solo quello della perdita di 500 posti di lavoro nell’immediato, ma è rappresentato da uno scenario non tanto lontano di chiusura definitiva, chiusura che potrebbe portare allo stop di numerosi cantieri, che sono aperti per il Superbonus e altri lavori su tutto lo stivale, per mancanza di materie prime. Il settore edilizio di trova infatti in una situazione molto esposta proprio per la necessità continua che esso ha di approvvigionarsi.