Nell’ottica di ridurre le emissioni e di virare decisamente verso una svolta sostenibile anche delle abitazioni private, la UE sta valutando di introdurre delle regole molto rigide che porterebbero alla vera e propria “rottamazione” delle case che non rispetterebbero i nuovi paletti green.

 La misura, che si può assimilare in tutto e per tutto allo smantellamento progressivo dei veicoli inquinanti, prevede infatti, nelle intenzioni dei tecnici europei, il blocco della vendita e anche dell’affitto degli edifici non più a norma.
 
Secondo le prime notizie che sono filtrate da Bruxelles, il cambiamento non avverrà in maniera repentina, ma sarà suddiviso in diversi step temporali e si dovrebbe chiudere intorno al 2033. A partire da questa data diventerà obbligatorio per chi acquista ristrutturare eventualmente entro tre anni l’immobile.
 
Essendo i progetti di pianificazione urbanistica un qualcosa che viene programmato e adeguato su orizzonti temporali molto ampi, per gli operatori del mercato immobiliare il 2033 è nella realtà dei fatti quasi dietro l’angolo, con conseguenze sulla domanda e l’offerta che, naturalmente, farebbero sentire i loro effetti già da subito, facendo diventare le abitazioni con cattiva classificazione energetica vendibili con molta difficoltà e a prezzi da saldo.
 
Per quantificare l’impatto che questo provvedimento potrebbe avere su un pa e se come l’Italia, è necessario analizzare alcuni dati. Attualmente, con le regole vigenti, gli edifici vengono suddivisi in dieci classi (la classe A di eccellenza a sua volta articolata in quattro sottoclassi e dalla B alla G, quella con prestazioni peggiori). La modalità di classificazione energetica di un edificio o di un immobile viene definita attraverso una perizia energetica APE che non è sempre obbligatoria se non in tre casi: se si vuole vendere o locare un immobile o se lo si vuole sottoporre a ristrutturazioni agevolate dal fisco (come quelle per il S uperbonus 110%) per le quali la legge lo preveda. Secondo le stime molto attendibili che si ricavano dai dati di Istat e di Enea, la percentuale degli edifici non a norma ad oggi risulterebbe essere attorno all’87% di tutti gli immobili ovvero, oltre 20 milioni di abitazioni.
 
Una grande percentuale di case avrebbe infatti, in caso di APE, una classificazione di tipo energetico D o peggiore per via di numerosi fattori sia strutturali che temporali che sono stati ampiamente analizzati da Enea. Il primo fattore di cui tenere conto è l’epoca di costruzione degli immobili: gli edifici residenziali in Italia sono circa 12,5 milioni: 7.160.000 sono precedenti al 1970 (l’attenzione all’efficientamento energetico prima della grande crisi petrolifera del 1973 era pressoché nulla), inoltre 11.230.000 strutture hanno più di trent’anni e nella grande maggioranza dei casi sono energivore. Incrociando i dati e limitandoci agli immobili a destinazione residenziale nel quinquennio 2016-2020 sono state analizzate da Enea 1.645.445 certificazioni. Di queste l’87,9 % riguardano immobili in classe D o peggiore (le classi G da sole rappresentano il 35,7% del totale). Per quanto riguarda l’epoca di edificazione le case costruite prima del 1945 a fine del 2020 risultavano in classe D o peggiore nel 94,2% dei casi e si sale al 94,9% per le abitazioni costruite tra il 1945 e il 1972.
 
Naturalmente, più si va avanti temporalmente più le classi energetiche tendono a migliorare, infatti se nel periodo tra il 2006 e il 2015 gli edifici con una classificazione energetica almeno sufficiente (di norma è considerata tale quella in classe D) erano comunque ancora la minoranza (44,6%), dal 2015 in poi sono invece diventati maggioranza con l’85,9% di Ape con standard elevati. Questo ultimo punto deve fare riflettere su una questione: che senso avrebbe oggi non prolungare una misura come il Superbonus 110% anche nell’ottica di questa rivoluzione energetica voluta dalla Unione Europea?
 
Rimodulare il Superbonus, adattandolo anche ai cambiamenti strutturali che l’Unione intende apportare, sicuramente farebbe arrivare gli edifici del nostro paese all’appuntamento con il 2033 in condizioni molto migliori di quelle in cui si trovano adesso, condizioni in cui, ad oggi, ci sono addirittura ancora 4,5 milioni di edifici in classe G bisognosi di una ristrutturazione radicale e costosa difficilmente affrontabile dalla maggior parte delle famiglie.