Dall’inizio del conflitto in Ucraina sono stati diversi i tentativi di colpire economicamente la Russia. La risposta da parte dell’Unione Europea è stata, infatti, in linea con le misure prese otto anni or sono e si è concretizzata in una serie di sanzioni che, ironia della sorte, oltre ad impoverire la Russia, stanno creando difficoltà ai paesi energeticamente meno indipendenti come la Germania, e, in misura maggiore, quelli totalmente dipendenti come l’Italia.  

 La risposta di Putin alle sanzioni si è concretizzata nella giornata di ieri in una mossa strategica che ha lasciato sorpresi molti analisti economici: la decisione maturata è stata quella di continuare sì ad onorare i contratti di vendita di gas verso gli stati definiti “ostili”, ma di accettare esclusivamente pagamenti in rubli. Se sul piano tecnico la strategia non sorprende, a livello geopolitico essa testimonia l’intenzione della Russia di rifiutare di farsi estromettere e isolare dalla comunità internazionale, provando ad uscire dall’angolo anche cercando una sponda nella Cina.

 Sul piano prettamente economico-monetario, la scelta operata da Mosca va nella direzione di modificare nel breve periodo i parametri di riferimento valutari in relazione ai valori di mercato delle materie prime energetiche, determinanti alla produzione industriale, come gas e petrolio. Come è oramai lampante, il prezzo delle materie prime non conosce freno e genera una serie di effetti, non tanto e non solo negli stati che detengono i mezzi di produzione energetica, come appunto la Russia, ma in quelli che sono costretti ad acquistarli, come l’Italia.

 Dal punto di vista geopolitico, invece, la mossa di Putin mira a spostare l’asse delle relazioni verso est, con un conseguente rinsaldamento dei rapporti con Pechino e con uno stravolgimento nel lungo periodo dei rapporti di forza. Infatti, la Cina osserva la guerra con molto distacco e al momento non sembra venire incontro alle richieste occidentali di isolare Putin ed è ben consapevole di poter trarre enorme vantaggio dalla redistribuzione degli assetti.

 Infatti, se prima del conflitto la Russia forniva ogni anno 150 miliardi di metri cubi di gas ai paesi europei, Italia compresa, e 50 miliardi di metri cubi di gas alla Cina, dallo scoppio del conflitto la quota asiatica sta crescendo giorno dopo giorno, grazie anche all’appoggio trasversale di India e Cina che, aumentando la richiesta di gas e petrolio, non solo foraggiano l’economia russa ridimensionando l’effetto delle sanzioni, ma arricchiscono la loto quota strategica avendo più materie prime per la produzione. Si stima, infatti, che a breve la quota di export della Russia verso questi paesi arriverà a raddoppiare (100 miliardi di metri cubi) grazie anche alla realizzazione di un nuovo gasdotto i cui lavori procedono a tempo di record.

 Gli scenari per l’Italia e per la zona Euro sono così foschi che la BCE, in una nota a margine del bollettino economico, ha comunicato che "La guerra russo-ucraina amplifica notevolmente l'incertezza. I rischi estremi al ribasso derivanti da un ulteriore inasprimento delle tensioni potrebbero essere significativi e compromettere la ripresa mondiale, alimentando al contempo le pressioni inflazionistiche”.

 Purtroppo anche la risoluzione diplomatica del conflitto, che porterebbe ad una lenta ma progressiva caduta dei prezzi delle materie prime, non sembra essere molto vicina, anche perché emerge una preoccupante sottovalutazione dei rischi di una guerra atomica.